Dalla Manomissione alla (sana) Contaminazione delle Parole

di Giovanni Marando 

 

Qual’è il vero potere delle parole?

Lo scrittore Gianrico Carofiglio ha pubblicato di recente un libro dal titolo particolarmente stimolante: la manomissione delle parole. L’autore svolge un’analisi di tipo soprattutto politico con la quale si può essere o non essere in sintonia ma, il lessico, la scelta delle parole e dei “modi” con cui comunicare, sono temi di assoluto interesse anche nel campo delle Risorse Umane.

Siamo, anche noi, chiamati a chiederci se ci sia stata una tendenza alla manomissione delle parole nel nostro ambito di azione professionale. Possiamo domandarci se i nostri linguaggi si intreccino con le cause della crisi economica in atto e su quanto si ponga una questione di mutamento delle forme, oltre che dei contenuti, della nostra comunicazione quali operatori nel campo delle Risorse Umane.

Per noi operatori delle RU le parole incidono sui comportamenti, aziendali e personali, dovremmo quindi avere cura del modo in cui scegliamo e di come maneggiamo le parole, perché esse sono in grado di incidere sui contesti un cui agiamo. In qualche modo possiamo considerare una torsione del significato normalmente attribuito al motto latino “verba volant..”, e affermare, che si, le parole volano, ma volando raggiungono e si fermano sull’organizzazione e sulle persone per cui lavoriamo influenzandole positivamente o negativamente.
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……. Ma dietro le azioni ci stanno gli uomini, e dietro gli uomini i valori che le aziende, quanto le altre istituzioni sociali, riescono a mettere in circolo. Le funzioni delle Risorse Umane non sempre hanno saputo diffondere nell’organizzazione aziendale parole sane e valori positivi, utili a contrastare la spregiudicatezza, la corruzione, la smania di potere e di guadagni, l’uso della menzogna e lo sfruttamento dei deboli, che hanno accompagnato e forse preceduto la crisi.

Per la funzione RU l’uso delle parole e la ricerca del loro significato autentico hanno un ruolo decisivo. Nel suo libro Carofiglio sostiene che “la scelta delle parole è un atto cruciale e fondativo: esse sono dotate di una forza che ne determina l’efficacia e che può produrre conseguenze”.

Eppure molte parole del nostro lessico si prestano alla manipolazione e alla manomissione; ciò avviene tutte le volte cui all’uso delle parole non corrisponde nella pratica il rispetto del loro significato autentico. Si prendano ad esempio due espressioni largamente usate nel linguaggio delle risorse umane e in quello della consulenza. Coaching e Business Partner.

Chi può dubitare del valore di queste espressioni? Eppure il loro uso è spesso improprio, manipolatorio o quantomeno disinvolto.

Coaching è un concetto prezioso che richiama alla nobiltà dello sport e alla figura dell’allenatore che spende tutte le proprie energie per ottenere il massimo risultato dall’atleta cui si dedica. Nei contesti aziendali, soprattutto nel rapporto di questi con il mondo della consulenza, si nota però un abuso del termine, un suo uso imprudente; i corsi di coaching proliferano, le società di consulenza offrono programmi di coaching per il miglioramento delle performance lavorative, annunci pubblicitari – diffusi fin nelle metropolitane – propongono come diventare esperti di coaching. La realtà però ci dimostra che solo le aziende che abbiano compiuto un’attenta individuazione dei bisogni personali in relazione agli obiettivi comuni, trovano vantaggio da programmi di coaching. Il potere evocativo della parola sembra quasi facilitarne le manomissione commerciale con lo svuotamento dell’efficacia reale.
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Tutelare se stessa e l’organizzazione aziendale dalla manomissione delle parole è quindi un compito che la funzione HR deve svolgere a difesa di efficaci comportamenti, azioni e scelte del management.

Questo percorso di rigenerazione si compie anche attraverso la ricerca di parole nuove.

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Chi opera nel campo della Gestione degli “esseri umani” deve esplorare con discernimento tutte le materie, scientifiche e umanistiche e ricavarne alimento per il proprio operato.

Si pensi al vasto mondo delle neuroscienze a quello della matematica e della fisica, ma anche all’arte e alla musica ………. queste discipline giungono in ausilio per una interpretazione nuova del nostro ruolo e ci aiutano a scoprire nuovi linguaggi di comunicazione e a ricercare parole nuove.

Anche la teologia, le religioni, la vita e gli scritti di alcuni Santi e Dottori della Chiesa, se sottoposti ad una lettura anche laica e comunque onesta e immune da manomissioni, possono aiutare a riscrivere questo necessario nuovo corso della funzione delle Risorse Umane. Colgo uno spunto sulle parole nuove – e in questo caso antichissime – dalla splendida cornice teologica delle Virtù Cardinali: Prudenza, Temperanza, Fortezza, Giustizia. Tali qualità cardine della vita morale del cristiano offrono un riferimento innovativo nella gestione delle Risorse Umane.

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Di norma la gestione del personale e la formazione tradizionale puntano più all’efficienza operativa delle persone che alla loro dimensione morale. Si rischia una società e ambienti lavorativi abitati sempre più da uomini fragili ed inaffidabili.

Di conseguenza si pone l’esigenza di definire e trasmettere attraverso adeguati processi gestionali e formativi le virtù etiche che definiscono un buon professionista, il cui lavoro non può essere considerato avulso dalla rete di rapporti interpersonali e sociali che strutturano ogni esistenza umana. Il messaggio delle Virtù Cardinali sembra adeguato a favorire questo processo.

Mi interessa focalizzare la riflessione sulla Prudenza che occupa il posto centrale e direttivo delle virtù cardinali.

Compito di una funzione come quella delle Risorse Umane sarebbe quello di esercitare e diffondere il valore morale della parola Prudenza guardando al significato pratico che essa può avere all’interno dell’organizzazione.

Le scelte della vita professionale infatti, sono sempre concrete e particolari richiedendo – in base o meno a una scienza universale – una realizzazione pratica immediata. La virtù della Prudenza ha il potere di guidare questa conoscenza pratica.

L’esperienza teologica ci insegna che una scelta di vita – e si può aggiungere professionale- pienamente appagante richiede non solo che il fine perseguito sia buono, ma anche una determinazione prudente dei mezzi opportuni per conseguirlo, il che comporta un esercizio dell’intelligenza e della volontà estremamente particolareggiato e svolto con grande attenzione e impegno; oltre che la retta deliberazione è richiesta una retta esecuzione.

La Prudenza osserva Sant’Agostino e’ la capacità di scegliere con sagacia le cose da perseguire in mezzo a quelle da evitare, eludere le insidie nel conseguimento dell’onesto per realizzare pienamente il proprio destino. La Prudenza è cardine della vita attiva; è una virtù operativa che si alimenta costantemente con l’istruzione e l’esperienza: i campi di azione delle Risorse Umane.

Formare alla prudenza, quindi, significa formare all’autodecisione cosciente, al senso di responsabilità personale.

Il giudizio prudente presuppone la capacità di ponderare in concreto se una determinata azione potrà divenire via per la realizzazione di un fine onesto, diversamente ne va di mezzo la coerenza tra aspirazioni ideali e comportamento pratico. Per fare ciò occorre agire concedendosi spazio per la riflessione. La mancanza di riflessione, la disattenzione, possono dare origine a un agire avventato in cui manca un giudizio ben fondato.

Nulla toglie però che l’azione attentamente ponderata venga poi eseguita con prontezza, rapidamente. San Tommaso coglie nella virtù della prudenza solerzia e sollecitudine. La prima (solerzia) è la disposizione a comprende, come d’improvviso, ciò che conviene fare, a decidere istantaneamente davanti ad una situazione inattesa. La sollecitudine è invece di ordine esecutivo e si oppone alla negligenza. Secondo Aristotele: “bisogna eseguire prontamente quanto si è deliberato, mentre si deve deliberare con lentezza”. La sollecitudine e’ così parte integrante della Prudenza.

Ogni buon professionista con l’esercizio della prudenza lotta contro due errori: la negligenza e l’incostanza. Il negligente manca di prontezza nel cogliere l’opportunità di fare il bene, tralascia di compiere un atto doveroso commettendo un’ingiustizia che reca danno al prossimo (collaboratori, dipendenti, committenti). L’incostante invece desiste dinanzi alle difficoltà, come frastornato da altre cose.

In sintesi, esercitare la Prudenza e’ allenarsi a non tergiversare nelle decisioni prese dopo matura considerazione svolta con conoscenza e capacità di giudizio. La prudenza di cui si parla è certo mancata agli investitori che hanno fatto esplodere la crisi con le speculazioni finanziarie ed immobiliari, è mancata all’industria italiana negli anni 80 e 90 quando molte delle nostre imprese manifatturiere e tecnologiche sono perite per responsabilità di un management avventuriero, che ha perseguito, fallendo, un modello in cui la variabile finanziaria dominava quella industriale: si pensi alla decadenza della gloriosa Olivetti.
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estratto da un post redatto da : Giovanni Marando, Vice Responsabile della Direzione Risorse Umane del Gruppo Bancario IBL (Istituto Bancario del Lavoro)

con gratitudine e stima da parte di Roberto Ferrario